Quando si investe tramite banca italiana è quest’ultima che effettua per conto dell’investitore tutte le comunicazioni allo Stato nel rispetto della normativa antiriciclaggio e fiscale, prelevando anche l’imposta ove dovuta e versandola all’amministrazione finanziaria. Con le criptovalute non funziona allo stesso modo perché, nella stragrande maggioranza dei casi, non interviene una banca a fare da tramite. Gli exchange sono dei siti internet che non sono sottoposti alla stessa regolamentazione degli istituti finanziari ed è, pertanto, l’investitore che deve preoccuparsi in prima persona di tutti gli adempimenti e delle imposte da pagare.
La Normativa Fiscale in Italia
La normativa fiscale italiana purtroppo non aiuta, in quanto non esiste una regolamentazione specifica in materia di monete virtuali, le quali vengono considerate solo limitatamente alla disciplina antiriciclaggio.
Nei (pochi!) documenti di prassi disponibili sul tema è stato chiarito che l’amministrazione finanziaria italiana si conforma all’impostazione dettata dai giudici europei, secondo i quali le operazioni in criptovalute rientrano tra le operazioni relative a “divise e banconote”: vengono trattate, in sostanza, alla stregua di operazioni in valute tradizionali estere.
Gli obblighi dell’investitore sono diversi e si distinguono a seconda che questi conservi le monete virtuali all’interno del wallet o le venda.

Comunicazione delle Criptovalute Detenute nei Wallet
Esiste uno specifico obbligo di comunicazione, ai soli fini del monitoraggio fiscale, per tutte le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti. L’Agenzia delle Entrate estende tale obbligo anche alla detenzione di valute virtuali in quanto assimilate a valute estere (per la normativa è estero tutto ciò che non è italiano).
L’obbligo di comunicazione scatta quindi per tutte le criptovalute, comprese quelle per le quali l’investitore detenga direttamente la chiave privata e non rileva, quindi, che siano detenute presso un exchange o in wallet fisicamente in Italia.
Si tratta di una comunicazione che non genera imposte da versare (in particolare non è dovuta l’IVAFE, l’Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie detenute all’Estero).
La dichiarazione va effettuata in apposito quadro della dichiarazione dei redditi, denominato RW e dedicato al monitoraggio fiscale degli investimenti e delle attività estere. La normativa non prevede un importo minimo da comunicare ed è quindi un obbligo che incombe su chiunque, anche su chi detiene piccoli importi di criptovalute.
Come si Compila il Quadro RW
Anche in merito alla compilazione della comunicazione ci sono sempre state molte incertezze e dubbie interpretazioni, fino al 2020, quando finalmente le istruzioni alla compilazione del quadro RW sono state integrate con specifiche indicazioni in tema di valute digitali.
In particolare, nella colonna 3 “Codice individuazione bene” va indicato il codice 14 (Altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali) e non va compilata la colonna 4 “Codice Paese estero” in quanto concettualmente si tratta di valute non legate ad alcuno Stato nazionale.
Deve poi essere indicato il controvalore in euro delle criptovalute, detenute al 31 dicembre del periodo di riferimento, e questo valore va determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove l’investitore ha acquistato le valute virtuali. Anche negli anni successivi dovrà essere indicato il controvalore detenuto alla fine di ciascun anno o alla data di vendita nel caso di valuta virtuale venduta in corso d’anno.
Gli Obblighi in Caso di Vendita di Criptovalute
Oltre agli obblighi di comunicazione, sono previsti obblighi dichiarativi nel caso di vendita di criptovalute, oltre al pagamento delle imposte sulle eventuali plusvalenze realizzate dalla cessione. Fortunatamente i guadagni non vengono sempre tassati. Lo sono solo se le criptovalute vengono prelevate da wallet che fanno registrare una giacenza superiore a 51.645,69 euro (cento milioni delle vecchie lire) per almeno sette giorni lavorativi continui nell’arco dell’anno in cui è avvenuta la vendita.
Ai fini fiscali, pertanto, il prelievo dai portafogli elettronici è equiparato ad una cessione a titolo oneroso. La giacenza deve essere verificata considerando tutti i wallet detenuti, indipendentemente dalla loro tipologia (paper, hardware, desktop, mobile, web). Se si supera la soglia, devono essere dichiarate tutte le operazioni effettuate nell’anno, anche se antecedenti al superamento del limite stabilito.
Il valore in euro della giacenza in valuta virtuale va calcolato secondo il rapporto di cambio al 1° gennaio dell’anno in cui si verifica la cessione, rilevato sulla piattaforma dove sono stati effettuati gli investimenti.
Per determinare la plusvalenza conseguente a prelievi da wallet, che abbiano superato la predetta giacenza media, si deve confrontare il controvalore in euro delle criptovalute con il costo di acquisto delle stesse, considerando cedute per prime le valute acquisite in data più recente (metodo LIFO, Last In First Out).
Le plusvalenze così calcolate vanno dichiarate nel quadro RT del modello Redditi PF e vanno assoggettate ad imposta sostitutiva del 26%.
L’obbligo di dichiarazione rimane anche in caso di realizzazione di minusvalenze, perché queste possono essere utilizzate per abbattere eventuali altre plusvalenze realizzate nello stesso anno e nei quattro anni successivi.